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La maschera è il modo più antico che l’uomo conosca per abbandonare la propria identità ed assumerne un’altra totalmente diversa. Mascherarsi da animali permetteva ai cacciatori primordiali di mimetizzarsi e sorprendere la preda, ma anche di assumere ritualmente, con l’aspetto, anche poteri e qualità che agli animali, a certi animali, venivano attribuiti. Era inevitabile che l’uomo pensasse alla maschera come il modo per assumere l’identità di altri esseri umani e addirittura esseri sovrumani o mitici, e scoprisse le enormi possibilità narrative, mistiche e mistificatorie della maschera. Sciamani e preti, cantastorie ed attori, briganti e libertini sono solo alcuni dei tanti cultori del travestimento di cui il Carnevale celebra la memoria.

La máscara es la costumbre más antigua utilizada por el hombre con el fin de abandonar su propia identidad y asumer otra totalmente diversa. Disfrazarse como animales permitió a los cazadores primitivos de imitar y sorprender a sus presas, y también asumir ritualmente, a través de la apariencia, los poderes y cualidades de propiedad de ciertos animales. Inevitablemente, el hombre pensó en la máscara como una forma de asumir la identidad de otros seres, inclusos los seres sobrehumanos o míticos, y descubrió la narrativa enorme, las posibilidades místicas y engañosas de la máscara. Los chamanes y los sacerdotes, cantantes de baladas y actores, los bandidos y libertinos, son sólo algunos de los muchos personajes de los cuales el Carnaval celebra la memoria.

 

Maschera di carnevale
Fonte Wikipedia

 

 

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"Carnevale (parte 2)" di Martin Stiglio
Arlecchino e Pulcinella, due delle maschere più popolari della tradizione italiana sembrano sintetizzare molti degli elementi menzionati. Si veda di entrambi la maschera nera dalla smorfia sardonica che tradisce l’origine demoniaca. Già Dante Alighieri nel canto 21 dell’Inferno attribuisce ad uno dei diavoli il nome di Alichino, che l’etimologia antico tedesca del nome ci indica come "Re degli Inferi", così come il nome di Pulcinella si riferisce alla voce fioca e sottile da "pulcino", ma anche da "morto che parla", della maschera incappucciata.
In queste maschere demoniache, che si sostuirono ai personaggi mitologici della classicità Greca e Romana ancora popolari ai tempi "carnascialeschi" di Lorenzo il Magnifico e dei suoi lussuosi carri allegorici o "Trionfi", possiamo riconoscere, non solo nel nome, l’influenza lugubre della tradizione celtica e nord europea che è ancora viva nell’americanissima nottata di "Halloween"; quando gli spiriti dei morti, rappresentati da personaggi mascherati in modo spaventoso, visitano i vivi estorcendo offerte con minacce di rappresaglie.
Che personaggi diabolici e dell’oltretomba si siano trasformati, anche grazie alla Commedia dell’Arte, in personaggi comici e satirici la dice lunga sull’Italia e gli Italiani. Molto prima che Carlo Goldoni e il suo settecentesco "Arlecchino servitore di due padroni" consacrasse in tutti i teatri del mondo Arlecchino come un furbo popolano dalle risorse inesauribili, era divenuto ormai abituale che sui palcoscenici allestiti nelle piazze italiane durante fiere e feste popolari dalle compagnie viaggianti di attori e saltimbanchi comparissero personaggi mascherati dall’aspetto grottesco o ridicolo non più con lo scopo di spaventare ma con quello, opposto e più divertente, di satireggiare vizi e difetti umani. Il medico incompetente ed avido, il mendicante scaltro e ladro, il gentiluomo ricco e borioso, la donzella civetta e approfittatrice, l’avvocato rapace e senza scrupoli, il servo infedele, il contadino rozzo e furbastro sono solo alcuni dei tipi, abbigliati in modo da renderne immediatamente riconoscibile classe sociale o professione, che si andarono affermando nelle caricature teatrali improvvisate.

Arlecchino e Pulcinella furono affiancati da Colombina, Pantalone, Meneghino, Zani, Brighella, Gianduia, Stentarello e tanti altri eroi negativi dalle potenzialità comiche illimitate.

 

Se si tiene presente il vivissimo campanilismo italico, che alimentava fino al cinquecento cruente guerre di tutti contro tutti e che ha rimandato l’unificazione del paese a poco più di cento anni fa, non è difficile immaginare come diventasse comune attribuire a ciascuna maschera, con intenti derisori, particolarmente utili a captare la benevolenza del pubblico locale, atteggiamenti e cadenze dialettali di città e paesi rivali o lontani da quelli dove ci si trovava a recitare. La rivalità con le altre città aveva presso il pubblico la meglio su ogni altra rivalità sociale interna.

 

foto carnevale

 

I personaggi, partoriti in questo modo dalla creatività dei teatranti e che riscuotevano più successo, diventarono rapidamente tipici e codificati. Sui palcoscenici di tutta Italia, particolarmente attivi in tempo di Carnevale, cominciarono ad interagire "maschere" che tutti immediatamente riconoscevano come rappresentanti le caratteristiche o meglio i difetti e vizi peggiori, dei diversi paesi e città d’Italia; forse con il segreto risentimento di qualcuno ma certamente con divertimento sommo di tutti.
Non si trattava certo di tempi troppo "politically correct" e dato che opporsi alla satira non faceva probabilmente che renderla più acuta ed evidente, ciascuna città finì per adottare il personaggio che la rappresentava e spesso con orgoglio lo faceva marciare in testa alle processioni municipali con il vescovo ed il podestà locale all’ombra del gonfalone comunale. Fu così che prima ancora che la contemporanea società dello spettacolo producesse le maschere di "Zorro", "Lawrence d’Arabia", "Batman" e altre icone del nostro tempo, furono i personaggi della Commedia dell’Arte ad animare i cortei di Carnevale.
Naturalmente allora, più di quanto accada nella società permissiva di oggi, qualsiasi maschera e costume si scegliesse per Carnevale, lo scopo era soprattutto quello di non farsi riconoscere mentre con la scusa del Carnevale si sfidavano le probizioni più severe. Casanova nelle sue celebri memorie è particolarmente esplicito circa i vantaggi di un efficace travestimento in una città come Venezia dove l’allegria del Carnevale è sempre stata molto sentita forse perché infrangere le regole, spassarsela e farla franca in tempi "normali’ è sempre stato più difficile che altrove. Non sempre maschere e costumi avevano lo scopo di permettere azioni che potevano essere censurate al termine della festa. In occasione dei gran balli di Carnevale che i patrizi delle città italiane organizzavano ed organizzano ancora oggi, con gran fasto, spesso lo scopo era proprio l’opposto. Fingendo di nascondersi si voleva paradossalmente ostentare la propria ricchezza, creatività e fantasia attirando l’attenzione di tutti proprio grazie alle quasi illimitate possibilità esibizionistiche che un costume di carnevale può offrire.

E come ci si può facilmente rendere conto a Venezia, come in molte località italiane da Abano Terme a Zoagli, durante le settimane di Carnevale, ma anche in tempo di quaresima o durante il resto dell’anno, gli Italiani pur di fare "una bella figura" sono disposti a tutto e per fortuna non sembrano aver mai dimenticato quanto scrisse Lorenzo il Magnifico nel "Trionfo di Bacco ed Arianna":

 

Viva Bacco e viva Amore!
Ciascun suoni, balli e canti!
Arda di dolcezza il core!
Non fatica, non dolore!
Ciò c’ha esser, convien sia.
Chi vuol essere lieto, sia:
Di doman non c’è certezza.

 

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