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"All'ombra della scienza in fiore" di Stefano Lami

laboratorio Fermi
Wilson Hall - Fermilab

 

Quando l'ombra della Wilson Hall si allunga fino al recinto dei bisonti, il lavoro dei ricercatori di Fermilab non è ancora terminato. Fermilab è il laboratorio nei pressi di Chicago dedicato alla memoria del fisico italiano Enrico Fermi e utilizzato per lo studio della natura fondamentale della materia e dell'energia. Infatti le centinaia di acri di prateria (dal 1989 è anche un parco nazionale di ricerca ecologica) racchiudono un acceleratore di particelle, un tunnel circolare lungo sette chilometri.
Inconfondibile sopra l'anello si staglia la forma della Wilson Hall, l'edificio progettato dal primo direttore del laboratorio, Robert Wilson, che era rimasto incantato dall'ardita ascesa verso il cielo delle arcate della cattedrale di Beauvais in Francia.
In questo luogo il 2 marzo 1995 il prof. Giorgio Bellettini, docente dell'Università di Pisa, annunciò la scoperta della particella subatomica chiamata il quark Top, l'ultimo ancora da scoprire fra i sei tipi di quark previsti dalla teoria.

 

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Acceleratore Fermilab

 

La grande massa di questa particella aveva impedito la sua osservazione in precedenti esperimenti su acceleratori di particelle meno potenti. A Fermilab fisici provenienti da università e istituti di ricerca di tutto il mondo sono da dieci anni impegnati a studiare le reazioni ad altissima energia che avvengono nelle collisioni fra un fascio di protoni ed uno di antiprotoni accelerati dalla macchina attualmente più potente nel mondo. La scoperta del quark Top rappresenta una conferma fondamentale sulla natura delle interazioni delle particelle elementari e un ulteriore contributo alla comprensione dell'universo subnucleare. La natura e l'energia di tutte le particelle prodotte nella collisione sono studiate in un rivelatore il cui cuore di avanzata tecnologia è stato finanziato, progettato e realizzato in Italia.

 

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Esperimento Muon al Fermilab

 

La fisica delle alte energie ha una tradizione in Italia che risale alla scuola di Enrico Fermi ed è fra i pochi settori del "made in Italy'' che si collocano ai primissimi posti sulla ribalta internazionale.
Dai suoi studi, dallo sforzo per costruire i sofisticati strumenti, si hanno anche ricadute industriali notevoli.
I prodotti di alta tecnologia riescono ad uscire dai laboratori italiani nonostante manchi spesso lo spazio anche per le attrezzature e per le strutture tecniche: eppure da esse nascono ricerche e scoperte degne del premio Nobel.
Il problema della ricerca scientifica e tecnologica in Italia è in realtà molto più ampio.
Negli ultimi anni si è assistito ad una migrazione di professionisti italiani verso gli Stati Uniti: la valigia di cartone dei nostri nonni emigranti si è trasformata in una ventiquattrore, un laptop o uno stetoscopio.
Giovani ricercatori italiani che vengono negli Stati Uniti per un corso di perfezionamento, finiscono spesso per rimanere in questo paese che offre un inserimento molto più rapido nel settore della ricerca sia pubblica che privata.
In Italia sono necessari maggiori finanziamenti alla ricerca e una nuova cultura che permetta di assumere i migliori piuttosto che costringerli ad emigrare all'estero.
Mentre negli Stati Uniti e negli altri paesi europei le università gareggiano fra di loro per avere i docenti migliori, i quali attirano fondi per la ricerca e studenti, in Italia le commissioni per i concorsi universitari sono lasciate in mano ad una "old boys network" con alto potere discrezionale.
E mentre nelle università americane i professori che abbassano il livello della loro produzione scientifica sono spesso esonerati, in Italia manca una verifica del lavoro svolto e quindi non esiste nessuna discriminazione fra chi produce e chi no, con gravi conseguenze sul livello tecnologico della ricerca industriale che si traduce in una debole struttura produttiva ed economica.
I finanziamenti alla ricerca italiana in termini percentuali del prodotto interno lordo (PIL) sono ancora inferiori alla metà della media degli investimenti degli altri paesi più avanzati. Secondo l'OCSE, l'organizzazione dei paesi più industrializzati per la cooperazione e lo sviluppo economico, l'Italia ha speso per la ricerca nel 1994 solo l'1.2% del suo PIL, contro il 2.5% degli Stati Uniti, il 2.8% del Giappone ed il 2.4% della Francia. Nello stesso anno l'acquisto da parte dell'Italia di ricerca dall'estero ha superato del 60% i contributi ricevuti per la propria ricerca.
Ma la cosa più grave è che la spesa globale di ricerca e sviluppo in Italia è in costante diminuzione dal 1992, e il personale scientifico e tecnico dedicato alla ricerca, pubblica e privata, ha registrato un incremento annuo negli ultimi dieci anni solamente del 2.5%, con una preoccupante elevata età media.
Nella sua relazione al Parlamento italiano dello scorso 31 luglio, il ministro L. Berlinguer, parlando delle linee per il riordino del sistema nazionale della ricerca scientifica e tecnologica, ha iniziato il suo discorso affermando come proprio "la scienza, la tecnologia e la disponibilità di risorse umane qualificate costituiscono il differenziale che distingue il grado di sviluppo dei diversi sistemi paese''. Per cui è indispensabile "essere in una posizione avanzata su questi temi, partecipando alla cooperazione internazionale in forma non subalterna, accrescendo ed innovando la propria capacità produttiva e la disponibilità e diffusività di servizi, [...] per permettere ai sistemi nazionali di essere protagonisti e competitivi nei processi di crescita economica, culturale e sociale''.

Fino a concludere che il "...Dotarsi di una nuova politica della ricerca è dunque un' esigenza strategica per il Paese''.

 

Nel frattempo l'ultimo concorso per professori associati universitari in Italia attende da più di due anni di essere espletato, il rinnovo del contratto degli enti pubblici di ricerca è in discussione da sei anni, ed il governo si trascina fra una crisi e una scia di tante belle parole.